Nei luoghi di lavoro esistono molte regole. Ad esempio l’orario di ingresso è fissato o ha una certa elasticità, la richiesta di un giorno di ferie si avvale di una determinata procedura, piuttosto che il rimborso delle spese deve seguire un certo iter. Un insieme di norme che, a volte, rende difficile la vita, ma che è necessario per uniformità ed anche per equità. L’universo delle regole può essere noioso, soprattutto se prevale la mentalità burocratica che spesso sostituisce il mezzo al fine, ma è anche rassicurante. La regola tradita può essere oggetto di appello verso l’autorità che l’ha posta in essere. E’ quindi anche tutela e garanzia.
Esiste poi un universo molto più ampio di modalità di convivenza che sono soggette a regole che potremmo definire “implicite”. Nella nostra organizzazione le persone si danno prevalentemente del “tu” o del “lei”? Quali rituali vengono messi in atto quando ci si incontra per la prima volta? Il neo assunto, come viene introdotto nell’ambiente organizzativo?
Ecco, questi sono esempi di una cultura organizzativa che, insieme a mille altri aspetti, permea nel profondo un gruppo sociale. Come dice Schein nel suo libro “Cultura d’azienda e leadership” (Guerini) la cultura rivela il livello più profondo, quello degli assunti di base e delle convinzioni condivise dai membri dell’organizzazione. Essi agiscono inconsciamente e definiscono la visione scontata che un’azienda ha di sé stessa e del suo ambiente.
Fa parte della cultura il modo di interagire tra le persone, le modalità che i capi ritengono corretto utilizzare per comunicare una valutazione negativa, gli arredi ed i simboli esposti, la modalità con cui si svolge una riunione, piuttosto che la possibilità, per un collaboratore, di dissentire.
Esempi questi di comportamenti, ma che affondano le loro radici sui valori comuni tra le persone, che nascono dalla storia di ciascuna azienda e derivano dalle modalità con cui essa è stata gestita, in primo luogo dal o dai fondatori.
Il pericolo di cui si vuole discutere è quello che molte donne colgono nel confrontarsi con la cultura aziendale: la mascolinità intrinseca in molti aspetti della vita organizzativa, una dimensione simbolica che spesso parla il linguaggio di un solo genere, quello che ha fondato e diretto l’organizzazione e che non accetta diversità.
Proviamo a fare degli esempi. Uno degli elementi culturali più sessuati, a mio parere, è il tempo. Fa parte di una modalità maschile di lavorare, come emerge anche dalla ricerca Il tempo al femminile (Etas), la dedizione temporale totale, l’utilizzo del “tempo di facciata”, che simboleggia più fedeltà che non orientamento ad risultato.
Le donne, e non solo quelle che devono gestire il doppio ruolo, vorrebbero che il tempo non fosse un indicatore di prestazione, ma che ci fosse un maggiore orientamento al risultato.
In una società di consulenza ho riscontrato come elemento culturale di iniziazione dei giovani fosse la prima nottata trascorsa lavorando, (dal mattino prima naturalmente!) come un elemento culturale di inserimento “vero” all’interno dell’organizzazione.
Collegato a questa idea del tempo è l’episodio di una donna che per partecipare ad una recita scolastica del figlio, ha addotto come impegno una visita medica, elemento più consono alla cultura prevalente.
Un aspetto che potrebbe sembrare marginale è il modo di interpretare lo spazio: essenziale e asettico al maschile, personalizzato e forse un po’ ridondante al femminile. Gli estremi si colgono nell’ufficio dei potenti e in quelli segretariali, lineari i primi, pieni di foto, piccoli oggetti e vasi di fiori i secondi. Le donne in carriera oscillano, in questo piccolo esempio, tra l’imitazione doverosa dei modi di essere del vertice e la voglia spontanea di personalizzare con il rischio di essere accumunate alle categorie gerarchicamente inferiori.
Ancora un esempio: la prima donna di un gruppo di venditori di un grande gruppo chimico mi raccontava la sua esperienza. “Gli uomini erano molto affiatati, proprio in senso “maschile” del termine. Simpatici e allegri, come spesso i venditori, raccontavano barzellette di ogni tipo, usavano un linguaggio di doppi sensi e di collusione. La mia venuta li ha resi impacciati, attenti alle parole. Ma un po’ per volta si sono abituati, e ora non fanno più caso a me. Sono diventata un ragazzo del gruppo!”
Ecco i pericoli. Gli universi simbolici hanno il vizio di essere molto nascosti, quasi impalpabili.
Quando si entra a farne a parte non ci si può mettere in contrapposizione aperta, pena il venire espulsi dal gruppo come troppo diversi .D’altro canto l’accettazione totale e incondizionata può essere contraria alle convinzioni profonde, o ai propri peculiari modi di agire.
Se è vero che esiste un universo simbolico maschile nelle organizzazioni il primo passo delle donne è quello di comprenderlo, senza necessariamente darlo per scontato.
La consapevolezza della propria cultura organizzativa è, per ogni azienda, il primo passaggio verso il cambiamento. Il cambiamento, in questo senso, è un alleato femminile.
Riflettere sulla cultura, propria e altrui, può dare strumenti di aggiornamento e di innovazione. Non per sostituire quello esistente con un universo simbolico femminile, ma per trovare modalità, intelligenti, di convivenza.
Soprattutto per non dover diventare necessariamente “un ragazzo del gruppo!”.
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